EVENTO PASSATO / Infinitudine e malinconia. Il rumore della solitudine.




Mostra fotografica a cura di Markus Skabb con la partecipazione di Paolo Scabbia

Mutano le stagioni, i colori, le attese e le speranze, ma la solitudine di ognuno davanti alla morte e ad un senso della vita che fatica a manifestarsi rimane sempre la medesima.

Markus e Paolo, due stazioni di questo silenzio che riempie di sgomento l’affacciarsi dell’individuo sul baratro del nulla, il cui percorso iconografico se distante nell’ aspetto formale si avvicina nel suo esito morale.

Markus, la cui ricerca iconografica si rivolge nello specifico alla statuaria dell’arte funeraria, attraverso cui far risaltare oltre alla bellezza formale delle singole opere anche l’atteggiamento degli uomini davanti al triste mietitore nelle varie epoche.
Paolo invece si fa promotore di una street fotography i cui soggetti sembrano perdersi davanti alla propria solitudine come davanti alla vastità del creato.

Alla maestosità di una statua, divorata dall’incuria e dal tempo, fa da contraltare il singolo colto nella sua frammentarietà quotidiana. La solitudine e l’orrore impressi nella pietra in atteggiamenti stereotipati, quali si possono vedere in tutti i cimiteri monumentali, sia italiani che internazionali, sono in fondo gli stessi che possiamo leggere sui volti delle persone che incontriamo ogni giorno.
Gesti, espressioni codificate da una eredità culturale e artistica che accomuna l’intero occidente (Pathosformel, per dirla con Aby Warburg) e capace di illuminare di una luce livida l’essenza delle cose: siamo fatti per morire. Verità questa che si evidenzia paradossalmente nell’esorcismo dell’espressione artistica, in particolare nella fotografia, in cui ogni singolo scatto (viviamo nell’epoca dei Selfie ad oltranza) nasce come gesto di difesa che vuole conservare le cose che si perdono. Ma che proprio per questo porta alla superficie il rimosso, mettendo a nudo le nostre paure più recondite. La maschera è gettata, il re è nudo, nessuna finzione è più ammessa.
Ogni sovrastruttura inventata dall’uomo per dare un senso alle cose, si perde nelle braccia di Giove. Ne deriva una solitudine radicale, che prescinde dalla presenza o dall'assenza di un partner, di un amico, o di un semplice interlocutore. L’intensità della solitudine non termina con la semplice privazione della parola, nella cancellazione d'ogni traccia di scambio con l'altro. Nella finitezza umana c'è dell'infinito come nel mare e nello spazio, del mistero come nella vita e nella morte, davanti al quale si è irrimediabilmente soli. Dunque un confronto schietto con la nostra parte più profonda, inconscia e socialmente non condivisa ci porta inevitabilmente ad incontrare un ignoto insondabile. Non è un caso che uno degli ultimi tabù della nostra società a cadere sia stato quello del sesso, mentre resistono ancora quello della morte (in particolar modo) e quello della solitudine. Entrambi innominabili, o da occultare con perifrasi perché sentiti come pericolosi per la legge del benessere della società di massa, in un’ottica di controllo delle emozioni che caratterizza la nostra civiltà.

Biografia: Markus Skabb (1968- ?)

Un vagabondo del nulla, con la passione per la scultura e l’arte funeraria. Oltre a soddisfare uno spiccato gusto per il macabro che mi pervade fin da bambino, i miei vagabondaggi cimiteriali vogliono essere anche un modo per testimoniare e valorizzare l’importante patrimonio artistico funerario nazionale. Un giorno, forse, i cimiteri non esisteranno più. La cremazione, complice anche una mutata sensibilità a livello sociale nei confronti del rito funebre e l’emergere di altre forme religiose diverse da quella ufficiale del cattolicesimo romano, il Buddhismo ad esempio, sta raccogliendo sempre più consensi; soprattutto oggi che la Legge permette la dispersione delle ceneri. Non muoiono solo le persone, muoiono anche le statue.